Oca in onto

In passato nelle campagne venete si allevavano oche bigie, pezzate grigie e bianche (antiche razze autoctone) e le grandi romagnole bianche. Come per il maiale, anche di questi animali di bassa corte non si buttava via niente e si producevano addirittura salami, prosciutti e in tempi più recenti anche paté.

L’oca in onto (detta anche Oca in pignatto) era una preparazione del tutto particolare, una conserva in cui si utilizzavano tutte le parti dell'oca, capace di durare molti mesi, addirittura anni. La conserva veniva preparata di solito a novembre, in occasione della Festa di San Martino, quando si macellavano e si mangiavano le prime oche.

Oggi questo antico metodo di conservazione è ormai in disuso e l’oca in onto è quasi introvabile, sebbene da qualche anno sia divenuta Presidio Slowfood.

Il procedimento è davvero laborioso: disossata l’oca, si separa dalle parti grasse e si taglia a pezzi. Quindi le carni si mettono sotto sale per alcuni giorni oppure vanno cotte con erbe, aromi e un poco di vino rosso. A questo punto si sistema il tutto in un orcio di terracotta o vetro. Nella versione cruda si alternano pezzetti di carne a grasso d’oca fuso e foglie d’alloro, nella versione cotta invece si completa l’ultimo strato con il grasso fuso e si chiude il vaso.

L'area di produzione dell'Oca in Onto è compresa tra le province di Treviso, Vicenza e Padova. Si degusta semplicemente scaldandola accompagnata da fette di polenta, patate, la salsa di cren o con la peperonata. Il tutto accompagnato da un buon vino rosso.

 

 

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